I dati pubblicati dal Ministero dell’Istruzione riguardanti le scelte delle scuole da frequentare nel biennio 2016-17 da parte degli studenti delle terze medie evidenziano una diminuzione dell’1,7% dei ginnasi. Circa 4600 ragazzi hanno quindi preferito evitare il latino e il greco a favore di altri indirizzi che non comprendono queste lingue come materie. Se a ciò si aggiunge il fatto che da qualche anno esistono due indirizzi del liceo scientifico senza latino (scienze applicate, con più ore di scienze e fisica; indirizzo sportivo, con più ore di discipline motorie) emerge un approccio, anche ministeriale, che relega il latino a materia vista soltanto come astratta educatrice alla precisione del pensiero.
Il latino va invece visto come una poliedrica interfaccia multilingue, che unisce diverse culture. La lettura dei testi antichi (che sono peraltro una piccolissima parte di ciò che fu scritto) e il rimando ai contesti dell’epoca, unitamente alla comprensione del latino posto a confronto con le lingue che si parlano oggi, sono attività che possono configurare una sorta di dispositivo della memoria culturale a cui accedere.
Il latino, certamente con le sue trasformazioni storiche (lingue neolatine o romanze), è la lingua più parlata al mondo: 500 milioni di persone parlano lo spagnolo, 230 milioni il portoghese, 100 il francese, 65 l’italiano, 35 il romeno.
Ecco quindi che per recuperare l’importanza del latino bisogna superare l’approccio scolastico che ne considera lo studio soprattutto dal punto di vista grammaticale e considerarne invece il potente valore di capacità lessicale e di trasmissione del sapere, che ci consente di comprendere pensieri filosofici, storici, politici, scientifici trasmessi in altre lingue.